Friday, January 22, 2010

Ed Ruscha - Hayward Gallery

A Londra, La Hayward Gallery ha recentemente dedicato una retrospettiva sui 50 anni del percorso pittorico di Ed Ruscha, personaggio “a 360 gradi” che, dagli anni 60 in poi, oltre che sulla pittura, ha avuto anche una vasta influenza sul cinema e sulla fotografia.
Non facile da catalogare, Ed Ruscha, pittore. Oltre ad essere un pioniere della Pop Art e’ anche un fuoriclasse della pittura concettuale, surrealista, post-moderna e astratta. Per questa installazione, la Hayward Gallery, ha seguito un ordine cronologico. L’emozione che si prova durante la visita e’ quella di una malinconia generalizzata fatta di un energia travolgente ma allo stesso tempo sempre imprigionata e controllata.
Ci si puo’ perdere per ore nei suoi quadri. Ad ogni osservazione si trovano nuove prospettive e nuove interpretazioni.
Diceva, per l’appunto, Ed Ruscha in un’intervista:“Se guardi una parola abbastanza a lungo inizia a perdere significato. Che taglia hanno le parole, che colore?”.
Ed e’ con il 1962, che il significato della realta’, e piu’ precisamente delle parole, inizia ad essere alterato sulle sue tele.
Ma, la semantica, che Ed Ruscha cerca di annientare, riemerge forte e chiara in nuove prospettive e colori delle lettere delle stesse parole. Cosi’ siamo infastiditi dal giallo&blu di “Noise” (rumore) e veniamo scossi dal riverbero delle linee gialle e nere di “Scream” (urlo).
Il suono continua a giocare un ruolo predominante anche nelle successive riproduzioni di oggetti quotidiani. I quadri sembrano emettere un rumore che arriva al nostro udito prima di poter prendere coscienza.
E’ un continuo gioco di trasformazione del significato e dei sensi, come l’alterazione mentale nei suoi quadri raffiguranti pastiglie che sembrano mantenersi sospese sulla tela. Un gioco che arriva, come suggerito dal critico Dave Hickey, fino al potere del fuoco che distrugge i distributori di standard, che elimina i ristoranti che servono le norme e gli istituti che cercano di regolamentare l’arte moderna.
Ed e’ forse secondo questo stesso percorso che, dopo una breve pausa all’inizio degli anni 70, Ed Ruscha arriva all’alterazione della stessa pittura. Lascia da parte temporaneamente la pittura ad olio per iniziare a dipingere con tuorli d’uovo, cioccolata, caviale, petali di rosa, sangue.
Nello stesso periodo, continua anche a sperimentare nuove prospettive con frasi ordinarie che appaiono fuori contesto su sfondi di tramonti, paesaggi naturalistici o su visioni notturne di piste di atteraggio di Los Angeles. E il gioco della prospettiva viene spinto ancora piu’ lontano fino a creare un nuovo carattere tipografico, un carattere molto piatto che aggrava il senso di profondita’ delle stesse frasi: il “Boy Scout Utiliy Modern”.
In questi anni, oltre ai vari materiali organici, Ruscha lavora anche con l’aereografo per farci entrare in mondi dimenticati nella nebbia, per darci un assaggio di realta’ oramai a noi lontane come le ombre di quelle navi e di quelle carovane cariche di speranza e di storia, ombre lontane di quell’America oramai cosi’ moderna.
E l’America monderna Ed Ruscha non l’hai mai amata. Tecnofobo, ha una passione smisurata per i vecchi film, le vecchie pellicole, che riproduce in "The End". In questo dipinto in particolare, sembra quasi essereci un monito alla perdita di un passato che cerchiamo di ignorare ma che sembra far parte del ciclo infinito della nostra storia.
Il netto distacco dalla modernita’ si continua ad avere nelle sue successive montagne. L’idea delle montagne quindi come alternativa e fuga pittorica dalla ciita’? Come il punto piu’ alto di distaccamento dalla citta’ verso l’infinito?
La montagna di Ruscha non e’ una montagna qualunque, e’ la montagna ideale che deve perfino apparire tridimensionale per risultare piu’ vera e per questo si fa aiutare anche questa volta dalla tipografia. Una lettera, una parola che prima d’ora non aveva nessun’altra funzionalita’ eccetto quella della sua semantica, adesso, a cospetto della montagna, sembra creare tensione offrendo una tridimensione al dipinto.
E la diatriba tra passato e presente si ritrova anche nei quadri raffiguanti quei capannoni industriali di perieferia che cambiano contiunuamente attivita’. Il passato ha colori grigi come quelle fotografie di una vita passata e il moderno ha colori inquietanti, violenti, in realta’ molto piu’ freddi del semplice grigio.
La mostra si chiude con i suoi due ultimi lavori in ordine cronologico “Aztec” e “Aztec in Decline”. In questi 2 dipinti dello stesso muro di un tempio atzeco, c’e’ un lamento per la rovina della civilta’ a a causa dell’uomo che tutto distrugge.
E se nel nel primo quadro la prospettiva e’ maestosa ed i colori contenuti, nel secondo quadro i colori fuorisecono dalla prospettiva, sgorganti come il sangue di cui sono coperte le mani dell’uomo e della civilta’ moderna. L'uomo quindi come artefice del declino di civilta' antiche come della stessa America odierna, nel ciclo infinito della storia.

Thursday, January 07, 2010

Richard Wright tra arte e spazio


Da pochi giorni, poche ore, una mano anonima ha passato un’emulsione bianca sui muri della Tate Britain, quegli stessi muri che fino a quel preciso momento, per tre lunghi mesi (dal 6 Ottobre al 3 Gennaio) erano stati trasfigurati dalla maestria di Richard Wright, pittore e vincitore dell'edizione 2009 del Turner Prize.
Richard Wright non e' un pittore contemporaneo qualunque, ne astratto, ne dipinge su tela. Richard Wright e' un pittore che ha saputo dare una nuova definizione allo spazio. Il concetto nasce non in un laboratorio, ma nello stesso edificio, nella stessa struttura dove Richard Wright prende ispirazione. Il suo lavoro ha origine nelle belle arti, ore e ore di lavoro consumate su centinaia se non migliai di disegni, stampe, collage, fotocopie, ritagli, che per incanto prendono forma soltanto quando sono assemblate in un complesso ed unico disegno che va a trasformare il muro di una galleria, di un edificio.
E il muro, non appare piu' come un muro insignificante, come sfondo neutro, ma e' un muro che prende vita, che s'impossessa di un proprio gioco di luci e che interagisce direttamente con la percezione del visitatore.
Un muro della Tate Britain era stato cosi' trasformato fino a qualche giorno fa, in un gioco di oro e luci che acquistava diversa profondita' a seconda degli angoli in cui veniva osservato. Il visitatore poteva immergere il suo sguardo per pochi secondi, minuti o ore ed innondarsi di una luce che arrivava fino ad illuminare i posti piu' bui della propria anima. La pittura quindi come mezzo per la scoperta personale, per la scoperta della nostra vita, della nostra fine?
Se da una parte il lavoro di Wright potrebbe far quasi pensare ad un palinsesto architettonico, alla fine dell'esposizione, non rimane nessuna ombra del suo lavoro, non rimane nulla. Un richiamo voluto per rivolgere la nostra attenzione alla effimerita' di molti gesti quotidiani, del tempo che scorre, della fugacita'. Ed e' proprio sapere che il nostro tempo e' limitato da un senso alla nostra esistenza e all'arte di Richard Wright.