Thursday, July 29, 2010

“The only one was a sweet talkin’ son of a preacher man” - Woven Hand - Bush Hall - 01/06/10

Durante il mese di Giugno, forse a causa dei mondiali di calcio, non ci sono stati molti concerti che abbiano attirato la mia attenzione, a Londra.
L’unico appuntamento imperdibile e’ stato quello dei Woven Hand, di David Eugene Edwards, il 1 Giugno scorso, al Bush Hall.
Ho scoperto David Eugene Edwards, casualmente, solo quattro anni fa, mea culpa.
Sono comunque andata a riscoprire la discografia dei 16 Horsepower che non hanno avuto un gran successo in Inghilterra ma, stranamente, un enorme seguito in Olanda, dove sono arrivati anche ai numero uno delle classifiche.
Il singolo che fece scaturire il mio interesse, fu una loro cover di “The partisan” di Leonard Cohen del 1998, in collaborazione con i miei venerati Noir Desir.
Una di quelle cover che risultano essere migliori dell’orginale, da brivido.
Alla mia personale "equazione Woven Hand" al quale ero legata via i Noir Desir, quest'anno, si e’ aggiunto anche Josh Pearson, che ha aperto il loro concerto a Parigi. Inutile spiegare, ma a volte nella vita, ci sono delle sottili linee che s’intrecciano e giocano con il tuo destino.
Ma veniamo ai Woven Hand e al loro leader spirituale David Eugene Edwards.
David Eugene come Josh Pearson e’ il figlio di un predicatore. Cresciuto in un'ambiente mistico e religioso nel Colorado, che si trova a meta’ strada tra la Bibble Belt e lo Utah, dove vivono piu' di mezzo milione di mormoni, il giovane David Eugene non potra' che portare queste influenze nella sua carriera di musicista. Nei testi musicali sia dei 16 Horsepower che dei Woven Hand, si trovano diversi riferimenti agli assi del bene e del male, alla redenzione e al conflitto spirituale ma anche alla testimonianza storica del Colorado, terra segnata dal sangue di migliaia di indiani durante la folle corsa all’oro. Dei testi profondi quinid, conditi da atmosfere musicali che evocano i Gun Club e i Bad Seeds di Nick Cave.
Stasera il giorno dopo dell’uscita del loro ottavo album “The Treshingfloor”, i Woven Hand sono di passaggio a Londra. Non faccio a tempo a vedere i Crippled Black Phoenix che i Wooven Hand sono gia' sul paclo. Basso, batteria, chitarra (+tastiere e congegni vari) e lui, il possente predicatore David Eugene con bombetta nera che si siede al lato del palco. E’ un concerto intenso. Mentre i tre musicisti tessono la base musicale, David Eugene tiene il ritmo con i suoi stivali per tutto il concerto e si dimena tra chitarra elettrica, acustica, mandolino e armonica a bocca. Dai suoi due microfoni, che usa per cambiare la voce come se venisse dall'oltretomba, esorta a stare lontani dai demoni del male e a cercare in noi la verita’ spirituale. Una strana calma s’instaura nella sala, come se ci fosse una nuvola soffocante sulle nostre teste. Siamo tutti paralizzati dalla presenza di Father David Eugene Edwards. Ci facciamo trasportare lungo tutta la discografia di questi otto anni: l’ononimo Wooven Hand, Consider the Birds, Mosaic...ma la maggior parte dei pezzi e' tratta dal loro stupendo "The Treshingfloor" e prima della fine del concerto, il temporale si scatena...e poi il silenzio. Mi sveglio dall’ipnosi in macchina. Faccio partire il motore. Fuori piove, mentre osservo il riverbero delle luci sull’autostrada, mi viene in mente il soliloquio di Jacob in “A prayer for the dying” di Stewart O’Nan: "'It's not right,' you say "Who are you angry with? "Not God "No? Who else is there? Is this the devil's work? "It must be, you think, but uncertainly". Bene o male, non so se sia, ma il verbo di David Eugene e' entrato definitvamente in me e ne sono ora una fervente addetta.

Tuesday, July 20, 2010

"La schiva diva" - Hope Sandoval and the Warm of Invention - 25/05/2010/Bush Hall/London

Hope Sandoval fa parte di quelle poche cantanti donne che sono rimaste integre alla loro musica e lontana dalle luci della ribalta. Venni in contatto dei dischi di Hope Sandoval con il progetto Mazzy Star, nato dalle ceneri del gruppo Opal e creazione di uno dei chitarristi più importanti della scena del Paisley Underground nonché fondatore dei Rain Parade (uno dei miei gruppi preferiti in assoluto): David Roback. L’ultimo disco dei Mazzy Star uscì nel 1996 e da allora Hope Sandoval si e’ data da fare partecipando a vari progetti paralleli tra cui “Hope Sandoval and the Warm of Invention” al quale collabora con Colm O’ Ciosoig batterista dei My Bloody Valentine, stasera di scena al Bush Hall di Londra. Una serata quindi imperdibile. “Stasera le fotografie non sono permesse durante il concerto”, gentilmente e’ ricordato sulle porte del Bush Hall, riflette l’idea del personaggio riservato di Hope Sandoval. Non me ne meraviglio. Il Bush Hall è un quadro perfetto, per questo genere di concerti: lampadari a goccia di cristallo, specchi d’epoca, e drappi rossi appesi ai muri. Con un ritardo degno di una diva sale sul palco alle dieci assieme a Colm e altri quattro musicisti. Il suono è a dir poco fracassante: due chitarre, un basso, una tastiera e la batteria di Colm per questa piccola sala. La voce di Hope Sandoval non si riesce nemmeno a sentire e si perde in questo marasma. C’e’ qualcosa che non funziona e si sente. Hope Sandoval e un po’ imbarazzata, sbaglia l’entrata con l’armonica a bocca e lancia continuamente degli sguardi severi, ai suoi musicisti, degni dei raggi fotonici di Mazinga Z. Si sente molta tensione sul palco e solo Colm O’Ciosoig sembra proseguire imperterrito per la sua strada, felice tra i suoi rulli e piatti. E il buio che avvolge la sala con solo le proiezioni d’immagini frammentate sullo schermo, non aiuta di certo a creare un ambiente più rilassato. A questo punto ho proprio voglia di andarmene, un concerto che mi mette a disagio, ma insisto. Dopo qualche pezzo Hope salta allo xylophono e sembra un po’ piu’ rilassata, si ha un’inversione di ritmo e i pezzi diventano più lenti, e meno cacofonici. Mi lascio trastullare dalla voce di Hope Sandoval, sono quasi soggiogata da queste atmosfere cupe e “lynchiane” e ecco apparire una fotografa sul palco che la mitraglia su tutti gli angoli, e orrore! fa spostare anche i musicisti durante i pezzi per avere un migliore angolo della nostra diva. Ma le foto non erano proibite stasera? Quindi Hope non è un’artista timida come vuol sembrare, sembra che sia piuttosto una persona che voglia avere il controllo su tutto e tutti: la sua immagine, la sua musica. Non c’e’ che dire, rimango un po’ di stucco. Dopo cinquanta minuti di concerto la band sparisce dietro le quinte per poi ritornare con una versione sbalorditiva di “Satellites” che da sola e’ valsa tutto il concerto e i miei vent’anni di fedeltà alla creativa’ e genio di Hope Sandoval.

Friday, July 16, 2010

"Holy Fuck in Heaven" - Holy Fuck - Heaven - London - 24/05/10

Un’altra band canadese? Si sì, molta musica canadese in questi ultimi mesi a Londra, con apice il Canadian Blast Festival di fine Giugno.
In realta' la serata, di questo 24 Maggio, inizia con un concerto alla Scala degli internazionali "Former Utopia". Dopo aver visto brevemente Chiara salutare il pubblico per la sua apparizione, mi scaravento in macchina per attraversare Londra e giungere a Embankment in un bunker buio vicino al Tamigi: l'Heaven. Questo club, noto per essere una discoteca gay e/o trans, sta regalando a Londra, una serie di live di gruppi tra i piu' interessanti del momento.
Stasera è la volta degli Holy Fuck che potete semplicemente tradurre con l'espressione “wow”, anche se di meno effetto.
“Holy Fuck!” è sicuramente quello che Graham Walsh e Brian Borcherd hanno dovuto esprimere durante le prime manipolazioni di suoni e beats per questo loro progetto che si trova all’incrocio tra Gang of Four, Kraftwerk e Trans AM.
Ad accompagnarli sul palco ci sono anche Matt McQuaid al basso e una vecchia conoscenza alla batteria: Matt Schultz (ex-Enon), uno dei piu’ simpatici e affabili batteristi che ho avuto occasione di incrociare nel passato. La linea ritmica sostenuta dai due Matt s’intreccia ai vari rumori strutturati che Graham e Brian danno vita via i loro microfoni per meta’ ingoiati, computers, mixers, melodiche, e altri giocattoli e congegni elettronici vari, tra cui un sincronizzatore per pellicole cinematografiche 35mm. WOW! Un delirio di suono e ritmo. Un pubblico in visibilio perso in danze frenetiche e grida entusiaste tra luci stroboscopiche. E fuori dal concerto, la calma. Attraverso il ponte di Embankment. Il suono soffuso di un sassofono si fonde con il rumore dei miei passi. Le luci distanti di St Paul e di Canary Wharf, l’eleganza del Big Ben e la luna piena che s’incastra come un diamante nel London Eye.
Una leggera e calda brezza soffia oggi sul Tamigi, pre-annunciatrice di una lunga e calda estate. Nelle orecchie ho ancora l'eco dell'incredibile suono degli Holy Fuck, mi fermo qualche minuto a osservare in silenzio questa citta' che amo ogni giorno sempre di piu'. Holy Fuck!! Questa e' la mia&nostra Londra!

Tuesday, July 13, 2010

Il rock degli androidi giapponesi - Japandroids - Garage- London - 20/05/10

Avevo quasi finito di scrivere alcuni pensieri sul concerto dei Japandroids che il tutto e’ andato perso: File Deleted. Ah la tecnologia!. Almeno quando si scriveva a mano, le bozze non scomparivano cosi’ all’improvviso.
Ma veniamo al concerto. Arrivo tremendamente in ritardo al Garage, nonostante sia solo a un paio di chilometri da casa, per l’esatezza 2.49KM, l’ho appena calcolato su Google grazie ai poteri di Internet.
Gli Yuck hanno appena finito, il tempo di passare al bar e i Japandroids,sono pronti a bombardarci di energia vitale.
All’inizio sembra del buon rock and roll gia’ sentito da tempo e poi piano piano i corpi iniziano a muoversi e le teste ad agitarsi avanti e dietro. Non che il pubblico inglese sia mai stato in delirio davanti a una band, da quello che ricordo. Sara' che devono sempre stare attenti a non fare rovesciare la birra che hanno in mano.
Japandroids e’ principalmente una tour band, in meno di un anno hanno fatto piu’ di 250 date. Si vede, si sente, che il live e’ la loro essenza e elemento dominante.
Anche se la musica dei Japandroids e’ sicuramente meno intellettuale e ironica dei No Means No, la buona scuola punk di Victoria (Canada) ha fatto strada e questi due ragazzi ne rappresentano i degni eredi. La formazione e’ elementare : Brian King alla voce, chitarra e David Prowse alla batteria. Spaccano, non c’e’ che dire. Questa sera ci hanno magistralmente regalato un’ora di sudore, e punk rock and roll. E ogni tanto, fa del gran bene.

Monday, July 05, 2010

Tra caos politico e musicale. Boredoms - Forum - London 11/05/10

New York 07/07/07 alle 7:07pm, presso il suggestivo parco dell’Empire-Fulton Ferry State, situato tra il ponte di Brooklyn e quello di Manhattan, settantasette tra i più rinomati batteristi della scena cosiddetta alternativa si riunivano per l'evento organizzato dalla più geniale noise-rock band giapponese:77 Boadrum dei Boredoms.
Tra i presenti David Grubbs, Chris Brokaw, Jeff Salane, Kid Millions, Tim De Witt, Mat Shulz, Brian Chippendale.
Los Angeles 08/08/08 a alle 08:08, 88 Boadrum, con ottantotto batteristi.
New York 09/09/09 alle 09:09 9 Boadrum, con nove batteristi.
Londra 11/05/10. Stasera sara' un 7 Boadrum quindi niente data o orario simbolico. Anche se 11/05/10 e’ una data importante. Stasera 7 Boadrum sara' il primo concerto dell’era del governo di coalizione tra i Tories e i Lib Dem , il cosidetto “hung parliament”. Un evento di caos musicale in parallelo con l'inizio del caos politico, anche sei il concetto di Boadrum e’ molto piu’ semplice del concetto di “Hung Parliament” o sembrerebbe tale.
Boadrum, e’ una parola macedonia tra boa e drum, un boa musicale che vibra dalla testa fino alla coda, via ogni batteria presente, che forma una delle parti del corpo del boa.
Stasera, il boa e' composto da Hisham Bharoocha dei Black Dice, Zach Hill degli Hella! , Kid Millions degli Oneida, Butchy Fugedo dei Pit Er Patt, Jeremy Hyman dei Ponytail, e qui, devo dire che ho fatto fatica a riconoscere tutti.
Ai commandi del cervello come sempre i Boredoms: lo sciamano Yamantaka Eye ai congegni elettronici, Yoshimi P-We alla batteria (si, e’ proprio lei, la Yoshimi, ispirazione di “Yoshimi battles the Pink Robots” dei Flaming Lips) e Muneomi Senju al basso. Stranamente non si vede Yojiro Tatekawa.
Yamantake Eye apre il concerto con le sue grida e danze primitive, cadenzato dalla batteria di Yoshimi P-We seguito nel suo delirio da gli altri cinque batteristi.
A un certo punto sembra che il ritmo si sposti in mezzo alla folla ed ecco apparire, da un angolo buio della sala, infrenabile sulla batteria, Yojiro Tatekawa, che e' portato sulle spalle come durante una cerimonia. L’effetto visto dalla destra della scena, dove mi trovo, e’ sorprendente. Yojiro sembra proprio galleggiare sulla folla. Ad un certo punto la batteria "galeggiante", si ferma davanti al palco, i batteristi sul palco si fermano e parte un’assolo di Yojro. Sembra quasi una scena rituale, Yojiro sembra dover decifrare un codice “ritmico” per avere accesso al palco. Una volta accettato sul palco, il 7 Boadrum puo’ avere inizio.
Ritmo Tribale per quasi un’ora e mezzo di concerto. Sette batteristi che seguono le grida da primate di Yamantaka Eye, e/o le sue improvvisazioni su congegni elettronici e la chitarra a sette manici. Si, una chitarra con sette manici, ovvero il “Sevener” o “Sevena” che apparse per la prima volta su scena per un tour dei Boredoms con gli Iron&Wine nel 1998 (wow, che strano accoppiamento musicale!). Oltre a percuotere il “Sevener” con le mani, Yamantaka Eye usa anche un’asta e i suoi dreadlock quando non e’ impegnato nelle sue danze sciamaniche in mezzo dei sette batteristi che eseguono delle spettacolari variazioni di ritmo. Il concerto e’ possente e sorprende vedere anche dei batteristi cosi’ coordinati in un vortice senza fine. Si trova sia un elemento di ricerca del ritmo oringario del mondo e sia uno spirito di semplice divertimento comune tra i batteristi. Elementi che si ritrovano anche nel collettivo giapponese Kodo. Il concerto finisce. Molti dei presenti hanno l'impressione di aver perso l’udito, ma forse era questo lo scopo dei Boredoms: fare tabula rasa della nostra percezione uditiva per non farci sentire quello che sta succedendo la fuori, nella sede del governo.