Monday, July 06, 2009

La mia famiglia musicale

Patti Smith e’ sempre stata, per me, una sorta di icona spirituale e musicale, una di quelle donne alle quali ho sempre sognato di rassomigliare nonostante la mia assenza di talento. I Silver Mount Zion sono entrati nella mia famiglia spirituale nell’anno 2000 per svariati motivi. Avendo avuto modo di seguirli da molto vicino, ho condiviso il loro percorso e molte altre piccole gioie. Sono grata ai Silver Mount Zion e alla loro etichetta Constellation per aver rafforzato, forse in modo eccessivo, la mia integrita’ nei confronti del mondo musicale e avermi fatto riflettere sull’esistenza ed il funzionamento di modelli economici alternativi. La notte del 18 Giugno Patti Smith e Silver Mount Zion si esibivano sul palco del Royal Festival Hall, durante il festival del Meltdown curato da Ornette Coleman, ed e’ stata per me una piccola festa, una piccola reunion di famiglia. Soap&Skin in apertura, ma poco interessante.
Patti Smith inizia la sua performance con il poema “Piss Factory": “I'm gonna get out of here, I'm gonna be somebody, I'm gonna get on that train go to New York City, I'm gonna be so bad, I'm gonna be a big star. And I will never return - no, never return - to burn out in this Piss Factory." ”. E certe volte le leggende diventano realta’ : la ragazzina che lavorava e si faceva abusare in fabbrica e’ scappata a New York ed e’ diventata una grande star, la Patti Smith che tutti amiamo, un’artista di rilievo che ha anche lavorato con i piu’ grandi nomi della scena culturale iinternazionale.
E proprio questa sera vedremo siflare alcuni di questi nomi : Adrian Utley dei Portishead, Flea dei Red Hot Chilli Peppers, i Silver Mount Zion, i Master Musicians of Jajouka, e lo stesso Ornette Coleman che l’ha invitata a partecipare al suo Meltdown.
Ma e’ quando i Bachir Attar e i Master Musicians of Jajouka entrano in scena, che Patti Smith sembra ritornata ragazzina e balla felice mentre Flea, in ginocchio, si contorce davanti a loro.
I Silver Mount Zion, anche se non al completo, la raggiungeranno a meta’ concerto. Il loro inconfondile suono misto di archi e chitarre elettriche supporta a meraviglia la sua voce calda e grintosa. Non si puo’ trovare un connubbio musicale migliore. Stona, da canto mio, il connubio tra Flea e Silver Mount Zion. Eh si, doveva pure esserci una nota strana in tutto il concerto, in fondo fa parte della spontaneita’ di una festa improvvisata tra amici.
Ma alla festa non ci sono solo amici. Ad accompagnarla per qualche brano al pianoforte c’e’ pure sua figlia Jessie. Con lei che ci offrira’ una commovente interpretazione del poema dedicato al suo defunto marito Fred “Sonic”Smith, morto quando Jessie aveva solo 7 anni.
L’atmosfera festiva poi riprende. Patti Smith gioca intimamente con il pubblico come se fosse a tu per tu con persone che conosce da anni nel salotto di casa. Esorta il pubblico londinese a stare attenti all’urbanizzazione selvaggia, e quando si dimentica di andare fuori scena durante un cambio di strumenti commenta: “beh almeno cosi’ vedete quanto e’ eccitante stare dietro le scene. Io che bevo un bicchiere d’acqua guardando un tecnico che dice all’altro : “ma dove cazzo va questa spina?” E l’ilarita’ riesplode quando dopo qualche minuto’ ammette che non sa nemmeno lei cosa succedera’stasera sul palco: "It's a rough gig, I'm tellin' ya,". E alla fine del concerto viene pure in mezzo al pubblico per rendere la festa piu’ vera, piu’ reale ed il pubblico inglese si unisce alle danze. Con il finale di “Pissing in a River” e “Ghost Dance” salutiamo con gli occhi lucidi la poetessa del rock e i suoi amici.

1 comment:

Maurizio Pratelli said...

Zia Patti e zio Bob, per me come dire mamma e papà.