Tuesday, July 20, 2010

"La schiva diva" - Hope Sandoval and the Warm of Invention - 25/05/2010/Bush Hall/London

Hope Sandoval fa parte di quelle poche cantanti donne che sono rimaste integre alla loro musica e lontana dalle luci della ribalta. Venni in contatto dei dischi di Hope Sandoval con il progetto Mazzy Star, nato dalle ceneri del gruppo Opal e creazione di uno dei chitarristi più importanti della scena del Paisley Underground nonché fondatore dei Rain Parade (uno dei miei gruppi preferiti in assoluto): David Roback. L’ultimo disco dei Mazzy Star uscì nel 1996 e da allora Hope Sandoval si e’ data da fare partecipando a vari progetti paralleli tra cui “Hope Sandoval and the Warm of Invention” al quale collabora con Colm O’ Ciosoig batterista dei My Bloody Valentine, stasera di scena al Bush Hall di Londra. Una serata quindi imperdibile. “Stasera le fotografie non sono permesse durante il concerto”, gentilmente e’ ricordato sulle porte del Bush Hall, riflette l’idea del personaggio riservato di Hope Sandoval. Non me ne meraviglio. Il Bush Hall è un quadro perfetto, per questo genere di concerti: lampadari a goccia di cristallo, specchi d’epoca, e drappi rossi appesi ai muri. Con un ritardo degno di una diva sale sul palco alle dieci assieme a Colm e altri quattro musicisti. Il suono è a dir poco fracassante: due chitarre, un basso, una tastiera e la batteria di Colm per questa piccola sala. La voce di Hope Sandoval non si riesce nemmeno a sentire e si perde in questo marasma. C’e’ qualcosa che non funziona e si sente. Hope Sandoval e un po’ imbarazzata, sbaglia l’entrata con l’armonica a bocca e lancia continuamente degli sguardi severi, ai suoi musicisti, degni dei raggi fotonici di Mazinga Z. Si sente molta tensione sul palco e solo Colm O’Ciosoig sembra proseguire imperterrito per la sua strada, felice tra i suoi rulli e piatti. E il buio che avvolge la sala con solo le proiezioni d’immagini frammentate sullo schermo, non aiuta di certo a creare un ambiente più rilassato. A questo punto ho proprio voglia di andarmene, un concerto che mi mette a disagio, ma insisto. Dopo qualche pezzo Hope salta allo xylophono e sembra un po’ piu’ rilassata, si ha un’inversione di ritmo e i pezzi diventano più lenti, e meno cacofonici. Mi lascio trastullare dalla voce di Hope Sandoval, sono quasi soggiogata da queste atmosfere cupe e “lynchiane” e ecco apparire una fotografa sul palco che la mitraglia su tutti gli angoli, e orrore! fa spostare anche i musicisti durante i pezzi per avere un migliore angolo della nostra diva. Ma le foto non erano proibite stasera? Quindi Hope non è un’artista timida come vuol sembrare, sembra che sia piuttosto una persona che voglia avere il controllo su tutto e tutti: la sua immagine, la sua musica. Non c’e’ che dire, rimango un po’ di stucco. Dopo cinquanta minuti di concerto la band sparisce dietro le quinte per poi ritornare con una versione sbalorditiva di “Satellites” che da sola e’ valsa tutto il concerto e i miei vent’anni di fedeltà alla creativa’ e genio di Hope Sandoval.

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