Monday, December 12, 2011

The Antlers - "Burst Apart"

Pubblicato su distorsioni-it.blogspot.com 26/05/2011

THE ANTLERS: “Burst Apart” (2011, French Kiss Records/ Transgressive Records) “Burst Apart” è uno di quei dischi da sentire in primavera, con i campi in fiore, nel momento in cui sei pronto a cadere nel vortice degli odori e colori che la natura ti regala. “Burst Apart” e’ il quarto disco per gli Antlers, un terzetto di Brooklyn creato dalla mente geniale di Peter Silberman che ha riscontrato un successo mondiale con il precedente album “Hospice”, realizzato nel 2009. Il disco, arrivato al vertice di tutte le classifiche indie-rock con un’enorme riscontro della stampa specializzata era un progetto che narrava una relazione sentimentale abusiva, facendo il paragone di un infermiere e un paziente terminale di cancro. Quindi, un compito non facile per questi palchi di cervo americani dare un seguito alla notorietà acquisita con “Hospice". Mentre sei lì, sdraiato sul campo di fiori, a goderti i primi colori primaverili, i testi di “Burst Apart” anche se leggermente meno pessimisti di “Hospice”, ti portano ugualmente su sentieri tortuosi dell’inconscio: l’aria è ancora fredda e ti punge un po’, l’estate non é ancora arrivata. Ma rimani ancora lì sdraiato a crogiolarti nei tuoi pensieri malinconici e mentre segui i testi di Peter Silberman, continui a sognare ad occhi aperti. “Se rimango fermo qui da solo, se sono bloccato qui tutto l’anno, con nulla e nessuno a casa, non scomparirò per alcuna vedova. Se la ruota salta fuori dalla strada, nessuna vedova lo verrà a sapere su nessun amore perfetto, sotto alcuna punizione” (No Widows). Ancora Peter Silberman declama nello struggente lento di Putting the dog to Sleep (letteralmente: 'far morire il cane') “Dammi la prova che non morirò da solo. Metti le mani attorno al mio collare e apri la porta; tu dicesti - non posso darti la prova che non morirai da solo. Ma fidati, ti porterò a casa, per pulire il sangue dalle tue zampe". Forse qualcuno dei loro fan troverà i testi meno penetranti di “Hospice” ma vi e’ sicuramente una ricerca musicale più accurata e una crescita nell’utilizzo della voce. Qui Peter Silberman utilizza maggiormente il falsetto, fino quasi a ricordare Hayden Thorpe dei Wild Beasts e Antony Hegarty. La musica, lasciato l’indie-rock, contiene delle velleità più shoegaze o dream-pop che riecheggiano i Galaxie 500. “Burst Apart” è sicuramente un disco elegante che ha gli apici in pezzi come Parentheses con una chitarra affilata e d’effetto, French Exit, fresca come una leggera pioggia primaverile e la psichedelica Rolled Together. Anche “Burst Apart”, come “Hospice”, esce per French Kiss Records, l’etichetta di Syd Butler, bassista dei Les Savy Fav. Un album consigliato a patto che facciate attenzione a non compiacervi troppo nei vostri pensieri tristi, l’estate è alle porte.

Monday, June 20, 2011

Suoni da Orione

“Keiji Haino e Voltigeurs” Cafe Oto, Londra 9 Aprile 2011
Due serate completamente sold out al Cafe Oto di Londra, per uno dei grandi maestri della musica, Keiji Haino. Il Cafe Oto di Londra, è un caffè dell’est di Londra che la sera dà spazio agli artisti più interessanti di musica “creativa”, al di fuori dei soliti circuiti commerciali. Sicuramente, al momento, una delle sale più interessanti di Londra. Il posto può contenere un centinaio di persone sedute ai tavolini e altre cinquanta/settanta in piedi. Se pensate di assistere a un concerto(i prezzi sono modici e i musicisti da paura) la regola numero uno è arrivare molto presto per stare seduti, perché il posto può diventare caldo in modo terrificante, ed i concerti sono regolarmente molto lunghi. Il 9 Aprile aprono la serata i Voltigeurs, la creatura musicale di Matthew Bower e Samantha Davies. Rigorosamente con le spalle al pubblico e di fronte a un muro di amplificatori e un dipinto che inneggia al Decadentismo, i Voltigeurs hanno improvvisato una valanga di feedback e distorsioni che hanno travolto le nostre ancora gelide orecchie.
Dopo è la volta del maestro giapponese di musica sperimentale, Keiji Haino. Detta così, molti storceranno il naso pensando a dei suoni caustici suonati da un musicista impettito e improbabile. Ma la realtà è diversa. Il Sig. Haino è un minuto sessantenne dai lunghi capelli argentati che si presenta sul palco con degli occhiali da sole e rigorosamente vestito di nero. Accanto a lui un’immancabile chitarra rossa fiammante e vari congegni elettronici. La sua vera forza sta nell’azione sperimentale intesa come “risultato di ciò che non e’ previsto”, come diceva il suo quasi coetaneo John Cage . Quindi le esibizioni di Keiji Haino sono delle vere sorprese e non si sa mai se durante il corso della serata si cimenterà in improvvisazioni free jazz, nel noise, nella psichedelica pura , nel metal, nel rock, nel cantautorato.
Durante le due ore di concerto del 9 Aprile, al Cafe Oto ha veramente spaziato tra tutti questi generi. La prima parte, più incentrata sull’improvvisazione vocale dove alternava grida, canto di gola e dolci nenie, sulla lunga durata del silenzio tra due note di chitarra che rimanevano sospese per aria. Con il canto profondo di gola sembrava quasi portare il dolore del rombo di quel terremoto che aveva devastato il suo paese qualche settimana prima, e le sue grida parevano voler far sentire il suo dolore e la sua rabbia a tutto il pantheon shintoista. La seconda parte era più incentrata sui congegni elettronici : le sue mani, scatenate per creare dei suoni da campi magnetici e l’ondulazione dei lunghi capelli argentati, lo facevano apparire un vecchio sciamano indemoniato. La terza parte, ha visto la chitarra come protagonista.
Per più di quaranta minuti si è cimentato in una mirabolante jam session di jazz e rock psichedelico echeggiante Jimi Hendrix , Bill Frasell, King Crimson. Fisicamente provate, alcune persone del pubblico sono svenute, altre sono rimaste incollate dal sudore colante sulle loro sedie. Verso mezzanotte come se l’incantesimo si fosse spezzato, in mezzo a uno scroscio d’applausi Keiji Haino si fa spazio tra la folla, esce dalla sala e a bordo del suo Spinner svanisce lentamente nella notte, verso la costellazione di Orione.

Tuesday, April 19, 2011

Dancing London

Ether è un festival con cadenza annuale che si svolge a Londra, nella zona del Southbank, sulle rive del Tamigi. Il tema del festival è l’innovazione nell’arte, nella tecnologia e nella musica. Quest’anno l’unico evento del festival che sono riuscita a seguire è stato il live di Apparat e Pantha du Prince
Il concerto si è svolto nel foyer del Queen Elizabeth Hall per, sicuramente, permettere alle persone di ballare ma, dal mio punto di vista, una discoteca con un migliore impianto sonoro e strutture sarebbe stata più idonea.
Apparat alias Sascha Ring, sale sul palco con Pfadfinderai (compagno anche nel suo precedente progetto, Moderat) attorno alle 10.00pm. Apparat è una delle realtà più eccitanti della dance elettronica, una miscela esplosiva di Techno, IDM e Elektro.
Durante tutto il set non sta fermo un attimo. Stasera, è felice di esperimentare con i suoi ritmi e suoni, la gioia cresce tra il pubblico, che suda e balla sempre più freneticamente. Vengono lanciati anche centinaia di bastoncini fluorescenti che aiutano le danze della platea ad essere ancor più elettricamente colorate. Un improvviso cambiamento di ritmo e partono gli applausi e le grida del pubblico, sempre più eccitato. Non mi convincono le visuals di Pfadfinderai, che trovo molto amatoriali, anche se a chiusura del concerto, improvvisamente dallo spazio infinito pullulato di triangoli colorati escono fuori delle forme sensuali, il ritmo si fa sempre più vertiginoso, le forme si trasfigurano nella Morte che , con le sue movenze, in una tensione elettrizzante e delirante, sembra volere avvolgere e distruggere emotivamente il pubblico presente in sala. Delirio, la temperatura sale e a fine concerto inizia fare un caldo quasi insostenibile. Gli enormi vetri del Queen Elizabeth Hall si appannano e si accorgono appena le luci dei lampioni che illuminano le rive Tamigi e l’ora sull’orologio della Shell Mex House, uno degli esempi squisiti dell’architettura art deco di Londra.
E’ all’incirca mezzanotte quando l’enigmatico Pantha du Prince inizia il suo set. Sul palco, vestito rigorosamente in nero con una maschera argentata. Vicino al computer e ai vari congegni elettronici, dei cristalli di luce che riflettendo la luce di uno spot, irradiando la luce e splendore in tutta la sala. Siamo all’entrata di un nuovo mondo di cui il maestro è Hendrik Weber, che si nasconde dietro la maschera, un altro genio tedesco, della musica elettronica. Il suono, sempre dance, è molto più scuro e possente di quello di Apparat e ti prende direttamente allo stomaco. Anche se i riferimenti sono quelli della techno minimale e di Detroit, nel suo suono si trovano anche riferimenti al pun-rock gotico dei Bauhaus, X-Mal Deutschland, Alien Sex Fiend, e durante il set mi è anche sembrato di udire le linee di basso di Simon Gallup di “A Forest”. Ma si sentono anche gli Animal Collective e LCD Sound Systems. Non per nulla, il suo suono è stato definito dallo stesso Pantha du Prince, come “Black Noise”, un suono che si dovrebbe percepire come presagio prima delle calamità naturali, quella frequenza che non può essere udita dall’uomo. Quando, la l’anima della tecnologia raggiunge la natura e i suoni diventano indistinguibili. Il pubblico, anche se più calmo, sembra essere completamente ipnotizzato. E indubbiamente, il set di questo concettualista musicale romantico è avvolgente e magnetico. Hendrik sorride, è cosciente anche lui che il suo messaggio è pervenuto forte e chiaro alla folla del Southbank. Non so cosa sia successo durante le due ore successive, senza rendermene conto mi ritrovo a camminare verso casa. Il mio cuore ancora pulsa con i ritmi di Hendrik e Sascha che coprono il rumore dei miei passi e invadono la notte silenziosa lungo il Tamigi.

Wednesday, March 30, 2011

La vera vedova di Dallas

Le notti del Massachusetts dovevano essere lunghe e solitarie. Tempo per riflettere al suo passato e ritrovare le giuste corde che lo facevano vibrare. Lontano dalla sua Dallas, Dan Philips, non aveva dimenticato l’impatto del punk-rock dei Slowride, suo precedente progetto. Ma c’era una voglia di decelerare e di ricercare delle nuove e impercettibili vibrazioni del suo intimo. Un arduo processo catartico al quale si contrapponeva una melodia leggera vista forse come via d’uscita o redenzione.
Due anni dopo, Dan Philips ritorna a Dallas con il suo progetto e quando incontra la talentuosa bassista Nicole Estill e la possente macchina ritmica di Timothy Starks, i True Widow hanno finalmente ragione di esistere.
Martedì 29 Marzo uscirà il loro secondo album “As High as the Highest Heavens and from the Center to the Circumference of the Earth”: una perla. Stranamente l’ho ascoltato il primo giorno di primavera e ho capito che si preannuncia una calda estate. Forse un’estate calda come quelle del Texas dove l’umidità fa salire il termometro fino ai 47 gradi. Quando fa troppo caldo per riuscire a muoversi e tutto attorno assume una dimensione quasi onirica, un sentimento di immobilità e di aspettativa c’invade, come se dal momento all’altro potesse scoppiare un temporale o qualcosa di terribilmente bello. Chiamatelo stonegaze, chiamatelo breakcore, rimane evidente che vi è una forte influenza dello slowcore dei Low e dei Galaxie 500. Le voci di Dan e Nicole s’interscambiano durante tutte le canzoni, regalando all’album una dolcezza infinita . Provate ad ascoltare Jackyl, Blood Horses, Skull Eyes ,e sarete rapiti. Quello dei True Widow è uno slowcore molto più affilato, molto più pesante che sconfina nel desert rock.
Il disco chiude con l’apoteosi di Doomseer. Dei profeti dello stonegaze americano, che imparerete ad amare.

Tuesday, March 15, 2011

Concerti estemporanei on-line.

In questi ultimi anni c’e’ una tendenza a filmare gli arstisti che si esibiscono in posti diversi che sul palcoscenico. Solitamente, questi eventi, sono acustici e filmati professionalmente da registi indipendenti. Una posizione contro la moda diffusa di mettere su internet dei filmati, di scarsa qualita’, di concerti, registrati dai fans di tutto il mondo per mezzo dei loro cellulari. Filmati che hanno per risultato di generare un’idea distorta dell’artista e dell’evento. Le sessioni musicali acustiche sono filmate da giovani registi indipendenti e sono il risultato di un’incontro tra cinema e musia che offre allo spettatore un modo diverso e intimo per conoscere gli artisti. Molte volte filmati in modo spontaneo in un momento di pausa dallo studio di registrazione o tra un’intervista e un’altra, tra due tappe del tour, gli artisti danno l’impressione di suonare piu’ per il loro divertimento che per riempire un’altro compito promozinoale. Un modo moderno di documentare la musica e di lasciare all’artista un posto diverso e di qualita’ per esprimersi, che sembra sia convenuto a un gran numero di artisti come The Kooks, National, Beirut, Patrick Watson, Piers Faccini e molti molti altri. L’idea di queste sessioni musicali e’ partita da Chryde, il fondatore della Blogotheque che voleva trovare un modo diverso di condividere la musica su internet. L’incontro con Vincent Moon, regista indipendente francese, e’ stato fondamentale per riuscire a pubblicare dei filmati musicali di qualita’ ineccepibile. Sono passati quasi cinque anni e la Blogotheque ha accumulato piu’ di 200 live di artisti in luoghi alquanto improbabili (chiese, fontane, mercati, zoo, salotti, ascensori, metro, negozi, ect..ect) e dato il successo del seguito del pubblico, anche la Burberry ha voluto iniziare le sue live sessions: Burberry Acoustic, vestendo giovani musicisti in erba. Durante questi cinque anni, sono inoltre apparsi dei siti internet che usano dei luoghi per far suonare gli artisti alquanto unici e originali. Dai taxi londinesi delle BlackCabSessions, al lavasecco delle DirtyLaundryTV ai balconi in giro per il mondo di BalconyTV, fino ai gazebo dei parchi londinesi di BandstandBusking . Per un elenco completo dei vari siti che propongono dei live acustici, potete cliccare su The Music Session . Durante un pomeriggio estivo dell’anno scorso, ebbi l’occasione di assistere a un Bandstandbusking di Frightened Rabbit ,Hundred in Hands,Sky Larkin e Vivian Girls. C’era una leggera brezza che agitava dolcemente le fronde degli alberi, dei bambini si rincorrevano attorno al gazebo, dei vecchi seduti sulle panchine e passanti in bicicletta guardavano con curiosita’, chi mangiava un panino, chi beveva un caffé. Si respirava una rilassatezza generale sia del pubblico che dei musicisti come se si fosse nel loro cortile di casa. Un’occasione di festa, di celebrazione, di pura condivisione della musica che troppe volte si perde a discapito del classico formatto: palco, set pre-stabilito di 90 minuti,amplificazione e illuminazione da spot-lights. L’esistenza di canali alternativi di promozione musicale esiste anche nell’era digitale, un’angolo diverso per considerare il musicista, con un’unica condizione: non indossare l’impermeabile Burberry.

Tuesday, March 08, 2011

Something I like from Belgium

In questi ultimi mesi la Conspiracy Records ha realizzato due dischi pregievoli, un po’ ingustamente ignorati dalla critica italiana.
Head of Wantastiquet con il suo “Dead Seas”, ci porta in un mondo popolato da cowboys solitari che si accompagano di un banjo nelle loro fredde e solitarie serate invernali. Paul Labrecque, creatore del progetto, ha indubbiamente passato molto tempo sulle montagne del New Hampshire ma anche nel Western Massachussetts dove incontro’ Thurston Moore, per la cui etichetta incise con l’altro suo progetto Sunburned hand of Man, che porta avanti con Chris Corsano e Valerie Webb (a fine Marzo in tour in Italia). Anche se “Dead Seas” prende vita da queste esperienze profonde che hanno segnato il percorso musicale, e non, di Head of Wantastiquet, si rintraccia anche la cupa presenza di un certo primitivismo americano alla Robbie Basho. “Return to Agerthi” , “A curse repeated” e la stessa “Dead Seas”, sono dei titoli che possono dare lo spunto per indovinare l’atmosfera del disco. La riflessione di Paul Labrecque, non e’ solo autocentrata ma e’ rivolta anche al mondo esterno con “Mavi Marmara” , un richiamo alla strage degli attivisti pacifisti filopalestinesi di “Free Gaza”, avvenuto in acque israeliane qualche mese fa. In “Dead Seas”, la voce di Paul Labreque e’ sempre in secondo piano rispetto alla musica, una voce sussurata che sembra venire da un mondo parallelo al nostro ma che al tempo stesso ci porta lentamente alla deriva in questo immenso “Dead Seas”, dove tutto sembra rimanere immobile e eterno come questa splendida opera degna di maggior attenzione.
I Flying Horseman sono originari di Antwerp, la stessa citta’ dei dEUS con il quale dividono un gusto per l’eleganza dei suoni e una certa cinematografia musicale. L’anima del loro ultimo lavoro “Wild Eyes” e’ l’oscuro lato del rock blues di Jon Spencer and the Blues Explosions e dei Birthday Party, echeggiante alle terre newyorkesi dei Velvet Underground. Il lato ruvido del disco e’ inoltre accentuato dalla registrazione live del disco, quindi non c’e’ posto agli artefici della post-produzione. Quello che sentite e’ il loro vero suono che arriva diretto al cuore come la pallottola di una colt 45.

Tuesday, March 01, 2011

New History Warfare Vol.2: Judges” - Colin Stetson - Constellation Records

La Constellation Records ha fatto di nuovo centro. “New History Warfare Vol.2: Judges” di Colin Stetson e’ un album stupefacente e intrigante, lungo il quale ci si lascia trasportare in diversi vortici sonori, ascolto dopo ascolto. La passione e maestria di Colin Stetson per gli strumenti a fiato: sassosofoni, clarinetti, cornetti, corno inglese e flauti, l’ha portato a collaborare con alcuni dei piu’ grandi nomi della musica: Tom Waits, Lou Reed, David Byrne, TV on the Radio. "New History Warfare Vol.2: Judges”,ci convoca con la prima traccia “Awake on the foreign shore”, su un nuovo territorio musicale dove il jazz d’avanguardia sconfina con il rock, il gospel e una certa catarsi della musica etnica. Una musica liberatoria che fa scorrere brividi lungo la schiena. Non e’ ancora chiaro come Colin Stetson riesca a raggiungere questo effetto. Su tutto il disco non c’e’ un loop, ne’ un overdub (eccetto le parti vocali e il corno francese nella traccia 4). Sembrerebbe quasi di essere all’ascolto di un’orchestra di 20 persone, ma in realta’ si e’ davanti a un unico sorprendente sassofonista che, per registrare questo album, ha utilizzato venti microfoni posizionati in angoli diversi del mitico studio di registrazione Hotel2Tango di Montreal. Stesso studio utilizzato anche da musicisti del calbro di Godspeed You! Black Emperor e Vic Chessnut. Se non pensate che un unico musicista possa suonare come un’orchestra, provate ad ascoltare la traccia n.3 “The stars in the head (Dark Lights Remix)” e sarete sopresi. Apparentemente, uno dei tanti segreti di Colin Steston e’ la la respirazione circolatoria usata per suonare il sax, tecnica utilizzata anche da altri musicisti jazz, che aggiunge un effetto mantrico e ipnotico alle sue composizioni, simile a quegli effetti che il digeridoo e le launeddas apportano nella musica etnica. Con “A dream of water” e la parte recitata da Laurie Anderson si raggiunge un’apice di tensione mentre nella cover di Blind Willie Johnson, “Lord I just can’t keep from cyring sometimes” con la voce assolutamente argentina di Shara Worden dei My Brightest Diamond siamo elevati a una liberazione mistica. “Red Horses” e’ assolutamente travolgente con il ritmo impetuoso del sax di Steston, che riesce a metamorfosarsi nel galoppo di una mandria di cavalli selvaggi. Chiude questo piccolo gioiello discografico, la strruggente “In love and justice”. “New History Warfare Vol.2: Judges” e’ una di quelle perle rare che capitano troppo poco spesso per le mani.