Thursday, August 06, 2009
Smoking Tobacco Dock
Il Tobacco Dock e’ di certo l’apoteosi degli investimenti sbagliati durante la fine degli anni 80’, a Londra. Vi sono passata per caso, qualche giorno fa, in una giornata estiva alquanto cupa e ho deciso di mangiare li davanti, un parco pranzo. Un centro commerciale fantasma e’ ancora piu’ depressivo di un centro commerciale funzionante, questo e’certo. Sembra quasi di essere in una scena iniziale del film “28 Days Later”, un lungo risveglio dopo un’epidemia . Non si puo’ vedere anima viva in giro e tutto sembra abbandonato. All’entrata, davanti ad un canale stagnante, ci sono anche due ricostruzioni di velieri oramai arruginiti.
Il Tobacco Dock e’ una di quelle rigenerazioni sbagliate, che sono morte sul nascere.
Una struttura elegante di 4,000 metri quadrati, quella ideata da Brian Jackson e Lawrie Cohen. Una construzione d’acciaio su due piani, con dei negozi alle ampie vetrine e raffinati dettagli architettonici.
L’idea era di ristruttuare un vecchio deposito portuale del '900 (dove arrivavano dalle colonie: l’ivorio, le spezie, il vino, la lana, il tabacco) e trasformarlo in un centro commerciale moderno, una Covent Garden nel East di Londra.
Ma non avevano fatto tenuto conto che, Covent Garden si trova nel centro Londra ed il rinnovamento era stato fatto negli anni 80, in pieno boom economico. Qui, per arrivare al Tobacco Dock, mancano i trasporti. Si e’ lontano da tutto, lontano dai poli turistici londinesi. Inoltre, il rinnovamento fu finito proprio agli inizi degli anni '90 quando una crisi economica fustigo' i mercati inglesi.
Pare che il Tobacco Dock, sia ancora usato di tanto in tanto per degli eventi o delle serie televisive e che attorno al 2005 ci fosse un progetto per un ulteriore rinnovamento del luogo in un hotel, negozi e appartamenti di lusso, ma per ora non si vede l’ombra di una gru.
Al posto dei bambini che corrono felici su e giu’ per velieri c'e'solo una magra gatta randaggia che lancia uno sguardo triste al nostro pranzo. E se il Tobacco Dock, fosse una premonizione di quello che ci aspetta nei prossimi mesi di crisi economica a Londra? Mentre ci rifletto, sento attorno solo il rimbombo dei nostri passi e quel tipico Woooosssh! del vento che attraversa i luoghi deserti.
Il Tobacco Dock e’ una di quelle rigenerazioni sbagliate, che sono morte sul nascere.
Una struttura elegante di 4,000 metri quadrati, quella ideata da Brian Jackson e Lawrie Cohen. Una construzione d’acciaio su due piani, con dei negozi alle ampie vetrine e raffinati dettagli architettonici.
L’idea era di ristruttuare un vecchio deposito portuale del '900 (dove arrivavano dalle colonie: l’ivorio, le spezie, il vino, la lana, il tabacco) e trasformarlo in un centro commerciale moderno, una Covent Garden nel East di Londra.
Ma non avevano fatto tenuto conto che, Covent Garden si trova nel centro Londra ed il rinnovamento era stato fatto negli anni 80, in pieno boom economico. Qui, per arrivare al Tobacco Dock, mancano i trasporti. Si e’ lontano da tutto, lontano dai poli turistici londinesi. Inoltre, il rinnovamento fu finito proprio agli inizi degli anni '90 quando una crisi economica fustigo' i mercati inglesi.
Pare che il Tobacco Dock, sia ancora usato di tanto in tanto per degli eventi o delle serie televisive e che attorno al 2005 ci fosse un progetto per un ulteriore rinnovamento del luogo in un hotel, negozi e appartamenti di lusso, ma per ora non si vede l’ombra di una gru.
Al posto dei bambini che corrono felici su e giu’ per velieri c'e'solo una magra gatta randaggia che lancia uno sguardo triste al nostro pranzo. E se il Tobacco Dock, fosse una premonizione di quello che ci aspetta nei prossimi mesi di crisi economica a Londra? Mentre ci rifletto, sento attorno solo il rimbombo dei nostri passi e quel tipico Woooosssh! del vento che attraversa i luoghi deserti.
Wednesday, July 08, 2009
Spiando la vita a Battersea
Talvolta passeggiando per le strade di Londra, si trovano degli angoli nascosti.
E cosi' che, quache giorno fa, sono capitata al Geffrey Museum, dedicato alla quintessenza dello stile abitativo,borghese,inglese dal 17 secolo fino ai nostri giorni.
Curioso vedere dagli anni 50 ai giorni nostri quale spazio,posizione,forma ed importanza hanno preso la tv, il telfono, la radio, il giradischi nei nostri soggiorni.
Il Geffrey Museum e’ anche una casa che ospita delle persone bisognose (o almshouse in inglese). Una struttura elegante del 18 secolo, con un parco all’entrata ed un favoloso giardino nel retro. L’entrata e’ gratis, come tra l’altro per molti musei londinesi. Ci sono dei libri sul giardinaggio e l'architettura a disposizione e dei percorsi interattivi e giochi per bambini.
All’interno del museo trova spazio in questi giorni e fino al 31 Agosto la mostra di Mark Cowper.
Un eccelente fotografo londinese che ha ritratto il soggiorno di 46 appartamenti su 98 di un’unica palazzina a Battersea: Ethelburga Tower. Gli appartamenti sono stati selezionati secondo il criterio del lato east e/o ovest della palazzina per avere lo stesso gioco di luci. Solo uno e’ stato preso nel lato. L’angolo nel quale Cowper ha posizionato la macchina fotografica e’ sempre identico. Ci si ritrova quindi, davanti, sembrerebbe allo stesso soggiorno, ma decorato in modo diverso ed abitato da diversi inquilini.
Sono sempre stata incurioista dagli interni delle case, capire come vive la gente. E questa mostra soddifa un po' una parte della nostre indole curiosa. Quando si vedono le foto e' alquanto intrigante giocare a “indoviniamo chi vive qui” ? E po si legge che in quella stanza scarna, vive un single e, in quell’altra con i divani in pelle, e mobili etnici, vive una donna inglese di origine africana e, in quel’altra con il mappamondo in vista, vive una coppia di braziliani e in quell’altra ancora con il pavimento a scacchi, una coppia che insegna arte. Inolte quello che e’ interessante e’ anche sapere quante persone di svariate origini e ceti sociali vivano gli uni accanto gli altri senza influenzarsi minimanente nelle loro scelte stilistiche. L’appartamento rapprensenta il proprio nido, una rappresentazione del nostro modo di essere.
Mark Cowper intervista anche alcuni degli affittuari e/o proprietari per cercare di farci connettere oltre la foto con gli abitanti della Ethelburga Tower.
E’ una di quelle mostre che avrei voluto realizzare ma che rimane per ora un sogno nel cassetto ...chissa’, chissa’...
E cosi' che, quache giorno fa, sono capitata al Geffrey Museum, dedicato alla quintessenza dello stile abitativo,borghese,inglese dal 17 secolo fino ai nostri giorni.
Curioso vedere dagli anni 50 ai giorni nostri quale spazio,posizione,forma ed importanza hanno preso la tv, il telfono, la radio, il giradischi nei nostri soggiorni.
Il Geffrey Museum e’ anche una casa che ospita delle persone bisognose (o almshouse in inglese). Una struttura elegante del 18 secolo, con un parco all’entrata ed un favoloso giardino nel retro. L’entrata e’ gratis, come tra l’altro per molti musei londinesi. Ci sono dei libri sul giardinaggio e l'architettura a disposizione e dei percorsi interattivi e giochi per bambini.
All’interno del museo trova spazio in questi giorni e fino al 31 Agosto la mostra di Mark Cowper.
Un eccelente fotografo londinese che ha ritratto il soggiorno di 46 appartamenti su 98 di un’unica palazzina a Battersea: Ethelburga Tower. Gli appartamenti sono stati selezionati secondo il criterio del lato east e/o ovest della palazzina per avere lo stesso gioco di luci. Solo uno e’ stato preso nel lato. L’angolo nel quale Cowper ha posizionato la macchina fotografica e’ sempre identico. Ci si ritrova quindi, davanti, sembrerebbe allo stesso soggiorno, ma decorato in modo diverso ed abitato da diversi inquilini.
Sono sempre stata incurioista dagli interni delle case, capire come vive la gente. E questa mostra soddifa un po' una parte della nostre indole curiosa. Quando si vedono le foto e' alquanto intrigante giocare a “indoviniamo chi vive qui” ? E po si legge che in quella stanza scarna, vive un single e, in quell’altra con i divani in pelle, e mobili etnici, vive una donna inglese di origine africana e, in quel’altra con il mappamondo in vista, vive una coppia di braziliani e in quell’altra ancora con il pavimento a scacchi, una coppia che insegna arte. Inolte quello che e’ interessante e’ anche sapere quante persone di svariate origini e ceti sociali vivano gli uni accanto gli altri senza influenzarsi minimanente nelle loro scelte stilistiche. L’appartamento rapprensenta il proprio nido, una rappresentazione del nostro modo di essere.
Mark Cowper intervista anche alcuni degli affittuari e/o proprietari per cercare di farci connettere oltre la foto con gli abitanti della Ethelburga Tower.
E’ una di quelle mostre che avrei voluto realizzare ma che rimane per ora un sogno nel cassetto ...chissa’, chissa’...
Monday, July 06, 2009
La mia famiglia musicale
Patti Smith e’ sempre stata, per me, una sorta di icona spirituale e musicale, una di quelle donne alle quali ho sempre sognato di rassomigliare nonostante la mia assenza di talento. I Silver Mount Zion sono entrati nella mia famiglia spirituale nell’anno 2000 per svariati motivi. Avendo avuto modo di seguirli da molto vicino, ho condiviso il loro percorso e molte altre piccole gioie. Sono grata ai Silver Mount Zion e alla loro etichetta Constellation per aver rafforzato, forse in modo eccessivo, la mia integrita’ nei confronti del mondo musicale e avermi fatto riflettere sull’esistenza ed il funzionamento di modelli economici alternativi. La notte del 18 Giugno Patti Smith e Silver Mount Zion si esibivano sul palco del Royal Festival Hall, durante il festival del Meltdown curato da Ornette Coleman, ed e’ stata per me una piccola festa, una piccola reunion di famiglia. Soap&Skin in apertura, ma poco interessante.
Patti Smith inizia la sua performance con il poema “Piss Factory": “I'm gonna get out of here, I'm gonna be somebody, I'm gonna get on that train go to New York City, I'm gonna be so bad, I'm gonna be a big star. And I will never return - no, never return - to burn out in this Piss Factory." ”. E certe volte le leggende diventano realta’ : la ragazzina che lavorava e si faceva abusare in fabbrica e’ scappata a New York ed e’ diventata una grande star, la Patti Smith che tutti amiamo, un’artista di rilievo che ha anche lavorato con i piu’ grandi nomi della scena culturale iinternazionale.
E proprio questa sera vedremo siflare alcuni di questi nomi : Adrian Utley dei Portishead, Flea dei Red Hot Chilli Peppers, i Silver Mount Zion, i Master Musicians of Jajouka, e lo stesso Ornette Coleman che l’ha invitata a partecipare al suo Meltdown.
Ma e’ quando i Bachir Attar e i Master Musicians of Jajouka entrano in scena, che Patti Smith sembra ritornata ragazzina e balla felice mentre Flea, in ginocchio, si contorce davanti a loro.
I Silver Mount Zion, anche se non al completo, la raggiungeranno a meta’ concerto. Il loro inconfondile suono misto di archi e chitarre elettriche supporta a meraviglia la sua voce calda e grintosa. Non si puo’ trovare un connubbio musicale migliore. Stona, da canto mio, il connubio tra Flea e Silver Mount Zion. Eh si, doveva pure esserci una nota strana in tutto il concerto, in fondo fa parte della spontaneita’ di una festa improvvisata tra amici.
Ma alla festa non ci sono solo amici. Ad accompagnarla per qualche brano al pianoforte c’e’ pure sua figlia Jessie. Con lei che ci offrira’ una commovente interpretazione del poema dedicato al suo defunto marito Fred “Sonic”Smith, morto quando Jessie aveva solo 7 anni.
L’atmosfera festiva poi riprende. Patti Smith gioca intimamente con il pubblico come se fosse a tu per tu con persone che conosce da anni nel salotto di casa. Esorta il pubblico londinese a stare attenti all’urbanizzazione selvaggia, e quando si dimentica di andare fuori scena durante un cambio di strumenti commenta: “beh almeno cosi’ vedete quanto e’ eccitante stare dietro le scene. Io che bevo un bicchiere d’acqua guardando un tecnico che dice all’altro : “ma dove cazzo va questa spina?” E l’ilarita’ riesplode quando dopo qualche minuto’ ammette che non sa nemmeno lei cosa succedera’stasera sul palco: "It's a rough gig, I'm tellin' ya,". E alla fine del concerto viene pure in mezzo al pubblico per rendere la festa piu’ vera, piu’ reale ed il pubblico inglese si unisce alle danze. Con il finale di “Pissing in a River” e “Ghost Dance” salutiamo con gli occhi lucidi la poetessa del rock e i suoi amici.
Patti Smith inizia la sua performance con il poema “Piss Factory": “I'm gonna get out of here, I'm gonna be somebody, I'm gonna get on that train go to New York City, I'm gonna be so bad, I'm gonna be a big star. And I will never return - no, never return - to burn out in this Piss Factory." ”. E certe volte le leggende diventano realta’ : la ragazzina che lavorava e si faceva abusare in fabbrica e’ scappata a New York ed e’ diventata una grande star, la Patti Smith che tutti amiamo, un’artista di rilievo che ha anche lavorato con i piu’ grandi nomi della scena culturale iinternazionale.
E proprio questa sera vedremo siflare alcuni di questi nomi : Adrian Utley dei Portishead, Flea dei Red Hot Chilli Peppers, i Silver Mount Zion, i Master Musicians of Jajouka, e lo stesso Ornette Coleman che l’ha invitata a partecipare al suo Meltdown.
Ma e’ quando i Bachir Attar e i Master Musicians of Jajouka entrano in scena, che Patti Smith sembra ritornata ragazzina e balla felice mentre Flea, in ginocchio, si contorce davanti a loro.
I Silver Mount Zion, anche se non al completo, la raggiungeranno a meta’ concerto. Il loro inconfondile suono misto di archi e chitarre elettriche supporta a meraviglia la sua voce calda e grintosa. Non si puo’ trovare un connubbio musicale migliore. Stona, da canto mio, il connubio tra Flea e Silver Mount Zion. Eh si, doveva pure esserci una nota strana in tutto il concerto, in fondo fa parte della spontaneita’ di una festa improvvisata tra amici.
Ma alla festa non ci sono solo amici. Ad accompagnarla per qualche brano al pianoforte c’e’ pure sua figlia Jessie. Con lei che ci offrira’ una commovente interpretazione del poema dedicato al suo defunto marito Fred “Sonic”Smith, morto quando Jessie aveva solo 7 anni.
L’atmosfera festiva poi riprende. Patti Smith gioca intimamente con il pubblico come se fosse a tu per tu con persone che conosce da anni nel salotto di casa. Esorta il pubblico londinese a stare attenti all’urbanizzazione selvaggia, e quando si dimentica di andare fuori scena durante un cambio di strumenti commenta: “beh almeno cosi’ vedete quanto e’ eccitante stare dietro le scene. Io che bevo un bicchiere d’acqua guardando un tecnico che dice all’altro : “ma dove cazzo va questa spina?” E l’ilarita’ riesplode quando dopo qualche minuto’ ammette che non sa nemmeno lei cosa succedera’stasera sul palco: "It's a rough gig, I'm tellin' ya,". E alla fine del concerto viene pure in mezzo al pubblico per rendere la festa piu’ vera, piu’ reale ed il pubblico inglese si unisce alle danze. Con il finale di “Pissing in a River” e “Ghost Dance” salutiamo con gli occhi lucidi la poetessa del rock e i suoi amici.
Wednesday, July 01, 2009
A rieccomi
Mi ero ripromessa di scrivere tutte le settimane, ma ho perso un po’ il filo..Quindi riprendo...e saranno poi degli scritti erratici senza troppa connessione logica..ma sto scrivendo piu’ per me stessa ..mi sono anche detta perche’ non tenere un diario privato. Penso che ci sia una sottile linea tra il tenere un diario privato e pubblicarlo su un blog. Infatti il blog, richiede piu’ riflessione e anche piu’ attenzione, al contrario di certe diarree verbali scritte nei diari....questa sara’ quindi una attenta diarrea verbale. Se ripercorro gli eventi di queste ultime settimane a ritroso, m’imbatto in ordine con il concerto di Patti Smith & friends al Royal Festival Hall. Allora, il prossimo post e sulla zia Patti ed i miei cugini canadesi.
Wednesday, May 20, 2009
Il sole del Queen Elizabeth Hall, 21 Aprile
Sono trepidante all’attesa di questo concerto della Touch. Ho due minuti di ritardo, dannato traffico.
Attraverso il Southbank con i suoi innumerevoli bar, mi dirigo verso il Queen Elizabeth Hall. Il concerto e’ gia’ iniziato da pochissimo. L’impatto e’ a dir poco devastante. Sulle rive del Tamigi, lascio un sole invitante a passare una serata all’aria aperta per essere accolta da un muro di suono in un antro invaso da fumo e luce rossa. Sul palco CM von Hausswolff.
Al set di CM von Haussworlff, fatto di vibrazioni e di basse(issime) frequenze, si partecipa con tutto il corpo. Ad alcuni fa effetto “lavatrice”, ad altri di massaggio, per quel che mi riguarda e’ stata quasi un’esperienza esoterica e a tratti mi mancava il respiro. Trovo la bellezza nella brutalita’ del suono e ho l’impressione di cadere in una mini trance. Vi sono ragazze che forzano i loro fidanzati a lasciare la sala, altri che si divertono a sperimentare “se sposti la testa qui e li, il suono cambia...”, altri che misurano le frequenze con i loro iPod. CM von Haussworlff investe con delle tonalita’ random selezionate dai suoi apparecchi elettronici capaci di trasmettere le stesse frequenze radiofoniche, dai 131 HZ ai 701 HZ. Ogni persona del pubblico dev’essere un ricevente diverso ed il suo suono deve essere percepito da ciascuno in modo forte e chiaro.
Il set di Rosy Parlane ci fa scivolare verso una natura umida, con gocce d’acqua e fremiti d’insetti , per poi essere trascinati e travolti in mondi sommersi. Vi e’quasi una voglia di dare vita all’immagine dello stagno che supporta l’esibizione di Rosy Parlane via stimoli esterni che sembrano voler ricreare delle sensazioni di pace e malinconia.
L’acqua, la pioggia, l’umidita’ accompagnano anche il set di Fennesz, che inizia sulle bianche scogliere di Dover per approdare su un mare nero (“Black Sea”) uggioso.
La fusione dei riff di chitarra alla manipolazione del suo Mac Book Pro dona al set di Fennesz delle nuove tonalita' oscure ed intimiste che non erano presenti nella passata esibizione della sua estate senza fine ( “Endless Summer”) , tonalita’ che sembrano ricalcare una certa maturita’ acquisita negli ultimi tempi. Alla fine del concerto: Parlane, Fennesz e CM Hausswolf si uniscono sul palco per regalarci una sonora sinergia dei loro talenti. Usciamo silenziosi. E’ oramai buio, peccato aver abbandonato il sole musicale del QEH.
Attraverso il Southbank con i suoi innumerevoli bar, mi dirigo verso il Queen Elizabeth Hall. Il concerto e’ gia’ iniziato da pochissimo. L’impatto e’ a dir poco devastante. Sulle rive del Tamigi, lascio un sole invitante a passare una serata all’aria aperta per essere accolta da un muro di suono in un antro invaso da fumo e luce rossa. Sul palco CM von Hausswolff.
Al set di CM von Haussworlff, fatto di vibrazioni e di basse(issime) frequenze, si partecipa con tutto il corpo. Ad alcuni fa effetto “lavatrice”, ad altri di massaggio, per quel che mi riguarda e’ stata quasi un’esperienza esoterica e a tratti mi mancava il respiro. Trovo la bellezza nella brutalita’ del suono e ho l’impressione di cadere in una mini trance. Vi sono ragazze che forzano i loro fidanzati a lasciare la sala, altri che si divertono a sperimentare “se sposti la testa qui e li, il suono cambia...”, altri che misurano le frequenze con i loro iPod. CM von Haussworlff investe con delle tonalita’ random selezionate dai suoi apparecchi elettronici capaci di trasmettere le stesse frequenze radiofoniche, dai 131 HZ ai 701 HZ. Ogni persona del pubblico dev’essere un ricevente diverso ed il suo suono deve essere percepito da ciascuno in modo forte e chiaro.
Il set di Rosy Parlane ci fa scivolare verso una natura umida, con gocce d’acqua e fremiti d’insetti , per poi essere trascinati e travolti in mondi sommersi. Vi e’quasi una voglia di dare vita all’immagine dello stagno che supporta l’esibizione di Rosy Parlane via stimoli esterni che sembrano voler ricreare delle sensazioni di pace e malinconia.
L’acqua, la pioggia, l’umidita’ accompagnano anche il set di Fennesz, che inizia sulle bianche scogliere di Dover per approdare su un mare nero (“Black Sea”) uggioso.
La fusione dei riff di chitarra alla manipolazione del suo Mac Book Pro dona al set di Fennesz delle nuove tonalita' oscure ed intimiste che non erano presenti nella passata esibizione della sua estate senza fine ( “Endless Summer”) , tonalita’ che sembrano ricalcare una certa maturita’ acquisita negli ultimi tempi. Alla fine del concerto: Parlane, Fennesz e CM Hausswolf si uniscono sul palco per regalarci una sonora sinergia dei loro talenti. Usciamo silenziosi. E’ oramai buio, peccato aver abbandonato il sole musicale del QEH.
Monday, April 20, 2009
Matt
La morte di Matt e’ stata improvvisa.Io e Matt non ci conoscevamo molto bene ma c’eravamo incrociati qualche tempo fa nell’ambito del lavoro. Con Sonia ci aveva fatto un training, forse uno dei piu’ divertenti che abbia fatto finora e che ricordo con piu’ simpatia. Tutti e tre per terra, in ufficio a smontare una stampante come se fosse un scatola di lego. Mi ricordo anche che Matt ha fatto diventare quello che sarabbe stato un banale viaggio di lavoro in qualcosa di speciale quando mi porto’ da Bill’s, uno dei piu’ grandi (ai tempi) negozio indipendente di musica tra Dallas e Plano. Un negozio immenso gestito da Bill, dove comprai un fantastico 7 pollici con libretto dei CCCP e dove dal soffitto girava un picture disc dei Pankow. Mi ricordo di Matt un pungente senso dello humour, molto inglese, la sua passione per Arsenal, l’NBA e anche le sue scorribande annuali a Las Vegas con Chris, di cui andavano molto fieri. Mi ricordo anche del suo visto stupito quando scoprendo “Lift your Skinny Fists” dei Godspeed You Black Emperor sulla sua scrivania, lo abbracciai forte forte. Il suo amico Christophe ha scritto che una volta si ritrovarono a parlare di funerali e che Matt, grande fan dei Beatles, avrebbe voluto che si suonasse per il suo ultimo giorno Blackbird dei Beatles “"Blackbird singing in the dead of night, take these broken wings and learn to fly, all your life you were only waiting for this moment to arise…" e Matt anche se non mi senti e anche se non ci sei piu’, questo pezzo da oggi in poi avra’ un nuovo significato per me.
Wednesday, April 08, 2009
La Route – Cormac Mac Carthy
Qualche mese fa molti tra i miei amici citavano questo libro come « un capolavoro », « un libro che non dimenticherai facilmente ». Ero già stata incuriosita da « All pretty horses » (che per pigrizia non ho mai letto) e forse lo scoppio mediatico, giustamente meritato, del film “No Country for Old men”, ha allontanato il mio interesse da “La Route”. Solo qualche settimana fa, ho deciso di prenderlo dagli scaffali di casa. Ho finito il libro da qualche giorno ed ho dei sentimenti contrastanti. La lettura e’ molto scorrevole. Ho trovato parecchie scene ripetitive ed i discorsi tra padre e figlio sono assai piatti se confrontato con il mondo della “sovvranalisi” familiare della società odierna. A pensarci bene, se dovessimo veramente ritrovarci in condizioni di sopravvivenza, forse i nostri discorsi diventerebbero schematici ed essenziali. In una natura assente, dove il mondo come lo conosciamo e’ scomparso e rimane solo cenere e buio saremo solo focalizzati sulla necessità di rispondere ai bisogni essenziali come protezione e cibo. Tutto il resto diventerebbe superfluo, come l'analisi, l'individuo, persino i nomi sarebbero superflui. La trama in se non è molto accattivante: bambino e padre camminano lungo LA STRADA in un paesaggio apocalittico. Lungo LA STRADA si dovranno nutrire, riparare dal freddo e lottare contro buoni e cattivi. I buoni che possono uccidere altri buoni per la sopravvivenza ed i cattivi che praticano l'antropofagia. Non c’e’ più sole, più luna, più il trascorrere del tempo, più vegetazione, solo cenere, buio, e tanta umidità e tanto freddo. Nessuno sa esattamente se questo è il destino di una parte del pianeta o di tutta la terra. Si sa solo che la vita continua, che nascono dei bambini, e che ci sono degli animali e delle parvenze di fiori. Quasi un modo di dire, c’e’ speranza...c’e’, bisogna solo cercarla. La speranza, dei nostri due protagonisti è racchiusa nel mare. Il perche' la loro meta sia il mare non e' molto chiaro. Forse il mare va visto come un posto di libertà e di ricerca dell’anima, come rifugio sicuro e lontano dal male e dalle ceneri amare del mondo. Un concetto che fa eco a molta letteratura americana del 18emo secolo. Forse sui fondali del mare sono in vita delle grandi piovre e forse un altro uomo cammina con suo figlio sull'altra sponda. Ma il mare che l'uomo ed il bambino scoprono e' freddo, nero, desolato. Si deve quindi riprendere LA STRADA, senza speranza ne' meta, che porta sempre più a male e a disperazione, fino alla morte. Ci vuole l’aiuto di una buona stella e la fiducia del bambino perché la vita possa continuare e la speranza possa rinascere grazie ai ricordi che si sono costruiti, agli insegnamenti e all’amore ricevuti lungo LA STRADA. Non mi aspettavo una conclusione ottimista, ne sono rimasta perplessa, in quanto non proprio in tono con il racconto. Sicuramente l'autore ci porta a riscoprire la fiducia dei bambini nell'essere umano, fiducia che si e' sbiadita in molti di noi.
Tuesday, March 31, 2009
Sonica Italiana al Dingwalls
Sono passati quasi 20 anni dalla prima volta che vidi i Marlene Kuntz.
Nonostante l’incisività delle loro composizioni e la loro increbile presenza scenica vi era, allora, la difficoltà di sfondare in un panorama italiano ancora chiuso alla musica cosidetta “indipendente”.
Ma con il 1991 tutto cambiò. Il 1991 fu l’anno di “Smell Teen Spirit”, l’anno in cui anche le major fiutarono i generosi profitti del mondo musicale “indipendente”. In Italia i Marlene Kuntz si presentavano come i migliori rappresentanti di questo mondo musicale con la loro naturale intelettualita’ e grintosa sofisticazione. Dopo qualche anno, una scritta fatta con una bomboletta sul muro di una scuola “Lieve – Marlene Kuntz”. Mi misi a sorridere. Finalmente il gruppo in erba era arrivato alla notorietà meritata.
Ho ritrovato i Marlene Kuntz in superba forma al Dingwalls di Londra, l’altra sera. Per la loro “one-night stand” londinese, un pubblico prettamente italiano e una manciata di fans venuti direttamente dall’Italia per questa unica occasione. Piu’o meno 300 persone, la dimensione ideale. Fans entusiasti per questa intima comunione con i Marlene Kuntz che, d’altra parte, si sono dati anima e corpo perché anche questa notte londinese non si scordi facilmente. La scaletta ha fluttuato con impressionante virtuosismo tra la loro vasta discografia da “Catartica” a “Uno”. Ma e' al momento della cover di "Impressioni di Settembre" dei PFM, che mi ritrovo magicamente catapultata nel 1991 quando rientrando a casa tra la nebbia, alle prime luci del mattino, questo pezzo andava in loop sul mio mangianastri. Per un attimo mi sembra che il tempo si sia fermato e sorrido con lieve nostalgia.
Ma con il 1991 tutto cambiò. Il 1991 fu l’anno di “Smell Teen Spirit”, l’anno in cui anche le major fiutarono i generosi profitti del mondo musicale “indipendente”. In Italia i Marlene Kuntz si presentavano come i migliori rappresentanti di questo mondo musicale con la loro naturale intelettualita’ e grintosa sofisticazione. Dopo qualche anno, una scritta fatta con una bomboletta sul muro di una scuola “Lieve – Marlene Kuntz”. Mi misi a sorridere. Finalmente il gruppo in erba era arrivato alla notorietà meritata.
Ho ritrovato i Marlene Kuntz in superba forma al Dingwalls di Londra, l’altra sera. Per la loro “one-night stand” londinese, un pubblico prettamente italiano e una manciata di fans venuti direttamente dall’Italia per questa unica occasione. Piu’o meno 300 persone, la dimensione ideale. Fans entusiasti per questa intima comunione con i Marlene Kuntz che, d’altra parte, si sono dati anima e corpo perché anche questa notte londinese non si scordi facilmente. La scaletta ha fluttuato con impressionante virtuosismo tra la loro vasta discografia da “Catartica” a “Uno”. Ma e' al momento della cover di "Impressioni di Settembre" dei PFM, che mi ritrovo magicamente catapultata nel 1991 quando rientrando a casa tra la nebbia, alle prime luci del mattino, questo pezzo andava in loop sul mio mangianastri. Per un attimo mi sembra che il tempo si sia fermato e sorrido con lieve nostalgia.
Thursday, March 26, 2009
The partisan
"The Partisan"
When they poured across the border
I was cautioned to surrender,
this I could not do;
I took my gun and vanished.
I have changed my name so often,
I've lost my wife and children
but I have many friends,
and some of them are with me.
An old woman gave us shelter,
kept us hidden in the garret,
then the soldiers came;
she died without a whisper.
There were three of us this morning
I'm the only one this evening
but I must go on;
the frontiers are my prison.
Oh, the wind, the wind is blowing,
through the graves the wind is blowing,
freedom soon will come;
then we'll come from the shadows.
Les Allemands e'taient chez moi, (The Germans were at my home)
ils me dirent, "Signe toi," (They said, "Sign yourself,")
mais je n'ai pas peur; (But I am not afraid)
j'ai repris mon arme. (I have retaken my weapon.)
J'ai change' cent fois de nom, (I have changed names a hundred times)
j'ai perdu femme et enfants (I have lost wife and children)
mais j'ai tant d'amis; (But I have so many friends)
j'ai la France entie`re. (I have all of France)
Un vieil homme dans un grenier (An old man, in an attic)
pour la nuit nous a cache', (Hid us for the night)
les Allemands l'ont pris; (The Germans captured him)
il est mort sans surprise. (He died without surprise.)
Oh, the wind, the wind is blowing,
through the graves the wind is blowing,
freedom soon will come;
then we'll come from the shadows
Wednesday, March 25, 2009
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